Quando uscì a settembre 1999, Age Of Empires 2: The Age Of Kings, dimostrò subito di avere tutte le carte in tavola (e forse anche di più) per raccogliere la pesante eredità del capitolo che lo avevo preceduto. A dispetto della statistica che vuole che nessuna edizione successiva sia in grado di bissare il successo dell’edizione originale, infatti, la trasposizione del pluripremiato RTS di Microsoft in un contesto medievale, tra cavalieri e castelli di popolazioni come Teutoni, Vichinghi, Britanni, Franchi, Saraceni e altri protagonisti dei “secoli bui della storia” riuscì addirittura a superare il suo predecessore. La fortunata espansione “The Conquerors” arrivò l’anno seguente, sapeva completare il quadro introducendo le civiltà coinvolte nella scoperta dell’America, ossia gli spagnoli, i maya e gli aztechi, ma anche gli Unni di Attila in Europa, dei quali si poteva rivivere la storia in prima persona attraverso una campagna specifica, e i Coreani in Asia.

Il successo del gioco, che ovviamente va considerato al di là del semplice dato relativo alle vendite (che comunque hanno raggiunto 2 milioni di copie in tutto il mondo), pone Age Of Empires 2 tra i videogiochi più apprezzati di sempre. La grafica 2D di altissimo livello, il sistema intelligente di gestione delle risorse e soprattutto le fedeli riproduzioni storiche sia in termini di unità militari (ad esempio i Mamelucchi dei Saraceni e gli Elefanti da guerra dei Persiani) che di edifici (ad esempio la moschea di Solimano ad Istanbul, che corrisponde alla meraviglia edificabile dai Turchi) hanno reso questo titolo una pietra miliare nel campo dei giochi di strategia in tempo reale.

E sebbene negli anni successivi i Microsoft Game Studios abbiano prodotto gli altrettanto validi Age of Mythology (2002) ed Age of Empires 3: Age of Discovery (2005), il secondo capitolo della saga di Age Of Empires (da tutti gli appassionati del genere ormai noto semplicemente come AoE) è rimasto nel cuore di tantissimi giocatori. La possibilità di creare scenari e campagne sempre nuove usando l’editor in dotazione nel gioco ha favorito la nascita di numerose community che hanno continuato a sviluppare l’universo di AoE2 e grazie alle quali il gioco ha scoperto un vero e proprio elisir di lunga vita, che gli ha permesso di sopravvivere all’avvento della grafica 3D e a tutte le piccole innovazioni introdotte dai numerosi titoli RTS usciti negli anni a seguire.

Non solo, perché alcuni di questi gruppi hanno sviluppato delle mod non ufficiali del gioco, distribuite gratuitamente, che hanno letteralmente fatto rifiorire l’interesse nei suoi confronti. Nel 2013, l’edizione ufficiale remastered di AoE 2, “Age of Empires 2: HD Edition” ha ottimizzato le prestazioni e la grafica del gioco originale per i moderni schermi pc, segnando l’inizio di un vero e proprio Rinascimento sviluppatosi sotto l’ala protettiva della popolare piattaforma di giochi Steam, che ha acquistato i diritti sulle espansioni esistenti per perfezionarne la compatibilità con i nuovi dispositivi e renderle fruibili (a pagamento) dall’enorme numero di appassionati.

Oggi Age Of Empires 2 può essere quindi giocato in una veste grafica più moderna (ma praticamente identica all’originale), arricchito dalle nuove espansioni come:

  • The Forgotten (2013), che migliora la IA, introduce 5 nuove civiltà (Italiani, Indiani, Slavi, Magiari e Inca), nuove tecnologie e piccole migliorie al sistema di gioco
  • The Afrikan Kingdoms (2015) che introduce 4 nuove civiltà (Portoghesi, Etiopi, Berberi e Maliani), nuove tecnologie, unità, campagne e mappe
  • The Rise Of Rajas (2016) che introduce 4 nuove civiltà (Birmani, Khmer, Malesi e Vietnamiti), nuove tecnologie, unità, campagne e mappe

Le uscite di queste migliorie non solo testimoniano il rifiorire dell’interesse per uno dei titoli più amati della fine dello scorso millennio, ma scandiscono anche le tappe geografiche affrontate dal mondo di AoE2, partito dall’Europa centrale e dall’estremo Oriente per scoprire prima l’America, poi l’Africa e infine il sud est asiatico. E (per fortuna) non è detto che sia finita qui.

Contributo di Edoardo Sorani